Utility Token e Imposta sul Valore Aggiunto

Utility Token e Imposta sul Valore Aggiunto

andrea.cesaretti@gmail.com 26 Gennaio 2022

ABSTRACT

La mancanza di un inquadramento preciso degli Utility Token e dell’offerta dei medesimi in ambito nazionale crea eccessive perplessità sia sul piano del regolamento del mercato sia su quello fiscale con la conseguenza di ridurre, se non azzerare, l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali nel nostro paese in un momento in cui, al contrario, occorre mettere in campo quanti più strumenti possibili per ridare lustro alla nostra economia. In campo fiscale, l’Agenzia delle Entrate ha recentemente stabilito che iniziative come l’emissione di Utility Token per finanziare nuovi progetti debbano scontare l’Iva, una presa di posizione che, se confermata, ridurrebbe le potenzialità della raccolta di capitali tramite Utility Token oltre al paradosso di tassare anche quelle iniziative che, purtroppo, non giungono a completamento. Al contrario, riteniamo che tali operazioni debbano essere tassate al pari delle raccolte di capitali escluse dal campo di applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto.

The lack of a precise National framing of the Utility Token and the offer of the same creates excessive perplexity both on the level of the regulation of the market and on the fiscal one with the consequence to reduce the launch of new entrepreneurial initiatives in our country at a time when, on the contrary, it is necessary to use as many tools as possible to restore prestige to our economy. In the field of taxation, the National Revenue Agency (Agenzia delle Entrate) has recently established that the issuance of Utility Token to finance new projects must discount VAT with a statement that, if confirmed, would reduce the potential of raising capital through Utility Token in addition to the paradox of taxing even those initiatives that, unfortunately, do not come to completion. On the contrary, we believe that these transactions should be taxed in the same way as the capital raising not taxable with the Value Added Tax.


Introduzione

La risposta all’interpello n. 110 pubblicata il 20 aprile 2020 da parte dell’Agenzia delle Entrate in materia di Iva sulle operazioni aventi per oggetto Utility Token lascia qualche perplessità a causa del suo eccessivo grado di generalizzazione del fenomeno. Gli Utility Token, infatti, possono avere diverse destinazioni d’uso come pure è possibile individuare differenti inquadramenti giuridici con conseguenze diverse sotto il profilo fiscale.

Al momento in cui scriviamo, il valore della Finanza Decentralizzata (DeFi) vale all’incirca 100 miliardi di dollari e, viste le sue implicazioni culturali e sociali, potrebbe essere destinato a crescere ulteriormente e a giocare un ruolo determinante nell’economia globale.

In questo lavoro, esaminiamo, da diversi punti di vista, il fenomeno degli Utility Token e le relative implicazioni di carattere fiscale ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto in attesa di una regolamentazione specifica e chiara che permetta agli operatori di muoversi in un contesto finanziario che non è più possibile ignorare.

Cosa sono gli Utility Token

Se fossimo a digiuno di blockchain e di finanza “cripto”, per comprendere di cosa si tratta dovremmo tornare con la memoria ai tempi in cui si andava alla sala giochi e cambiavamo le nostre lire in gettoni con i quali (e solo con essi) potevamo dedicarci ai nostri giochi preferiti.

Di fatto, le caratteristiche di quei gettoni erano: a) si ricevevano in cambio di moneta corrente, b) potevano essere utilizzati solo all’interno della sala giochi; c) potevano essere scambiati con i gettoni degli amici mantenendo la stessa funzione; d) potevano essere restituiti in cambio di moneta a corso legale.

Per comprendere cosa sono gli Utility Token è pertanto sufficiente considerare che la sala giochi è una blockchain (che, sempre per farla breve è una rete di computer) o un’applicazione che “gira” nella blockchain e che l’Utility Token è il gettone che ci permette di accedere alla blockchain e/o utilizzare l’applicazione.

Come nella sala giochi reale il gettone poteva essere scambiato con quello di un’altra persona, anche nel mondo blockchain il token può essere scambiato con un token della stessa natura oppure contro un token diverso e, naturalmente, anche contro moneta corrente. In ogni caso, quel determinato token potrà essere utilizzato solo nella specifica applicazione per cui è stato creato come il gettone di buona memoria poteva essere utilizzato solo nella sala giochi in cui l’avevamo comprato.

La differenza non di poco conto (e che, come vedremo, potrebbe avere anche una valenza sul piano fiscale) è che, mentre i gettoni della sala giochi erano in una lega di rame, nichel e zinco, gli Utility Token sono digitali ovvero sono semplicemente “codice”. Per completezza, occorre aggiungere che, per essere utilizzati in determinati contesti come pure per regolarne le compravendite, questi token devono essere collegati a un’altra sequenza di codice, un altro software, chiamato “smart contract” che ne contiene, in estrema sintesi, le regole di funzionamento e i diritti attribuiti ai possessori.

Su un piano più tecnico, nelle intenzioni dell’Unione Europea, gli Utility Token sono definiti come “un tipo di cripto-attività destinato a fornire l’accesso digitale a un bene o a un servizio, disponibile mediante DLT, e che è accettato solo dall’emittente di tale token”. A sua volta, una “cripto-attività” è “una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga” (DLT[1]).

Secondo la Consob italiana si tratta di “quei crypto asset che incorporano il diritto ad una prestazione futura, che può consistere nella possibilità di utilizzare un bene o ricevere un servizio che l’emittente ha già realizzato o promette di realizzare[2].

Più semplicemente, secondo la Finma (l’Autorità federale svizzera di vigilanza sui mercati finanziari), si tratta di “token che permettono di accedere a un’utilizzazione o a un servizio digitale forniti su o dietro utilizzo di un’infrastruttura blockchain.”[3]

La Securities and Exchange Commission americana (l’ente federale preposto alla vigilanza della borsa valori) ne sottolinea la differenza con gli strumenti finanziari definendoli “monete o gettoni basati su una blockchain che non determinano diritti diversi da quello di essere utilizzati per acquistare beni o servizi dall’emittente, non danno alcun diritto sulle attività dell’emittente (in caso di sua liquidazione o altro) e non conferiscono al possessore alcun diritto di voto, diritti analoghi o alcun diritto a percepire redditi, dividendi o altre distribuzioni”[4].

L’inglese FCA, Financial Conduct Authority, si inserisce nello stesso solco seppur più sinteticamente per cui si tratta di “token che rappresentano una rivendicazione su potenziali servizi o prodotti, non equivalgono a valori mobiliari o altri prodotti regolamentati e consentono solo l’accesso a una rete o un prodotto.”[5]

La Repubblica di San Marino, uno dei primi paesi a varare una specifica legislazione in materia, segue a ruota definendo gli Utility Token “voucher per l’acquisto di servizi o di beni offerti dall’Ente Blockchain” che “a) non hanno validità̀ e non attribuiscono nessun diritto ai loro portatori al di fuori dei rapporti con l’Ente Blockchain emittente ed è pertanto esclusa la loro finalità di natura monetaria, speculativa e partecipativa; b) non danno diritto al rimborso del capitale, alla corresponsione di interessi né alla distribuzione di utili e/o dividendi e non conferiscono alcun diritto quale azionista, obbligazionista o portatore di altro strumento finanziario quali, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, i diritti di voto e/o altri diritti partecipativi; c) non sono a nessun titolo considerati valori mobiliari, strumenti finanziari e/o prodotti finanziari, né moneta elettronica e/o mezzo di pagamento fuori dalla Blockchain in cui sono stati generati[6].

L’Agenzia delle Entrate italiana li ha, infine, definiti “rappresentativi di diritti diversi (dai security token, n.d.a.) legati alla possibilità di utilizzare il prodotto o il servizio che l’emittente intende realizzare (ad esempio, licenza per l’utilizzo di un software ad esito del processo di sviluppo). Oltre ad attribuire i suddetti diritti, alcuni token possono essere scambiati sul mercato secondario tramite la piattaforma dell’emittente o su altre piattaforme di scambio[7].

Volendo sintetizzare, è possibile riassumere le caratteristiche degli Utility Token come segue:

  • sono gettoni digitali che permettono di utilizzare applicazioni nell’ecosistema delle blockchain e/o per accedere a beni e servizi dell’emittente,
  • sono fungibili ovvero non hanno un’individualità specifica e, pertanto, hanno capacità di sostituzione reciproca,
  • sono utilizzabili solo nell’ambito previsto dall’emittente come accedere a una specifica applicazione o ricevere beni o servizi,
  • sono scambiabili con altri token e con moneta a corso legale,
  • sono costituiti da codice informatico.

L’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate

L’Amministrazione finanziaria italiana si è occupata formalmente della vicenda solo in due occasioni. In breve, con la risposta all’interpello n. 14 del 28 settembre 2018, l’Agenzia delle Entrate ritenne che la cessione dei token nei confronti di privati consumatori fosse da assimilare alla cessione di “buoni multiuso” che, in sintesi e salvo quanto preciseremo più avanti, non rileva ai fini dell’Iva ai sensi dell’art. 6-quater del DPR 633/72 rinviando il momento impositivo alla fruizione del servizio o alla consegna del bene. Successivamente, con la risposta all’interpello n. 110, pubblicata il 20 aprile 2020, l’Amministrazione finanziaria ha espresso l’opinione che la cessione dei token rappresenti una prestazione di servizi generica, ai sensi dell’art. 3, c. 1 del DPR 633/72 assoggettabile ad Iva con l’aliquota ordinaria del 22 per cento. In altre parole, nonostante il fatto che, nella fattispecie analizzata, i token potessero (come nella maggior parte dei casi) anche essere utilizzati come mezzo di pagamento, secondo l’Agenzia delle Entrate essi devono essere considerati esclusivamente Utility Token poiché essi rappresentano lo strumento essenziale per accedere ai servizi dell’emittente (nella fattispecie gli acquirenti possono agire in una blockchain in qualità di miner guadagnando una commissione).

Sul piano pratico, quest’ultima interpretazione comporta che, trattandosi di prestazioni generiche, le cessioni di Utility Token sono imponibili con aliquota ordinaria quando sono effettuate da soggetti passivi nei confronti sia di altri soggetti passivi sia di privati “stabiliti nel territorio dello Stato”[8].

Come premesso, la posizione dell’Agenzia delle Entrate lascia, invero, qualche perplessità in quanto eccessivamente generica mentre è possibile individuare differenti inquadramenti giuridici degli Utility Token con conseguenze diverse sotto il profilo fiscale.

Tesi dell’Utility Token quali voucher d’acquisto

Un Utility Token è (normalmente) ceduto dietro corrispettivo, contiene l’obbligo di essere accettato come corrispettivo o parziale corrispettivo a fronte di  una  cessione  di beni o di una prestazione di servizi, contiene nella relativa documentazione (nel White Paper, nel sito web dell’emittente e, ovviamente, nello smart contract) i beni o i servizi da cedere o prestare, l’identità del cedente o prestatore e le condizioni generali di utilizzo.

Queste caratteristiche sono le medesime descritte nell’art. 6-bis del DPR 633/72 istitutivo dell’Imposta sul Valore Aggiunto ovvero sono le caratteristiche richieste dalla normativa sull’Iva per qualificare uno strumento quale “buono-corrispettivo”. Il predetto articolo, insieme ai successivi articoli 6-bis e 6-quater sono stati introdotti con l’attuazione della Direttiva (UE) 2016/1065 del Consiglio del 27 giugno 2016 (cosiddetta “Direttiva Voucher”) modificando, con effetto dal 1.1.2019, il trattamento fiscale dei “buoni”.

Questi nuovi articoli di legge, in sintesi, dispongono che sono assoggettati ad IVA (con diverse modalità) i corrispettivi legati ai buoni.

La normativa Iva italiana prevede due tipologie di buoni-corrispettivo, ossia il voucher monouso (articolo 6-ter D.P.R. 633/1972) e quello multiuso (articolo 6-quater D.P.R. 633/1972).

Si definisce “monouso” il buono che definisce dettagliatamente le condizioni che ne consentono la spendita e che permettono di identificare immediatamente il regime Iva applicabile. è il caso, per esempio, dell’acquisto di un buono (o di una card o di un voucher) presso un salone di estetica per la fruizione di un trattamento cosmetico di valore prestabilito. In questa circostanza il buono identifica chiaramente il tipo di servizio che sarà reso all’atto dell’utilizzo del buono stesso (il trattamento cosmetico).

Il buono “multiuso”, invece, normalmente stabilisce esclusivamente l’importo della spesa da esso rappresentata senza stabilire a priori quali beni potranno essere acquistati con il buono stesso o quali servizi potranno essere prestati. Sempre per fare un esempio, è il caso dell’acquisto di una card Amazon esposta alla cassa del supermercato. In questo caso il buono non prevede l’indicazione dei beni per i quali potrà essere speso rendendo impossibile determinare quale possa essere l’aliquota Iva definitiva, posto che i prodotti in vendita su Amazon sono assoggettati ad aliquote differenziate.

Un buono è pertanto definito monouso se al momento della sua emissione è nota la disciplina Iva applicabile alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo (come lo definisce la legge sull’Iva[9]) dà diritto (articolo 6-ter, comma 1, DPR 633/72). In tal caso, ogni trasferimento di un buono-corrispettivo monouso precedente alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo dà diritto costituisce effettuazione di detta cessione o prestazione (articolo 6-ter, comma 2, DPR 633/72). L’aliquota Iva applicabile sarà, naturalmente, quella relativa al bene o al servizio a cui si ha diritto presentando il buono.

Diversamente, per quanto concerne il buono multiuso, al momento della sua ’emissione non è nota la disciplina applicabile, ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, alla cessione dei beni o alla prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo dà diritto (articolo 6-quater, comma 1, DPR 633/72).

In tale seconda ipotesi, pertanto, ogni trasferimento di un buono-corrispettivo multiuso precedente all’accettazione dello stesso come corrispettivo o parziale corrispettivo della cessione dei beni o della prestazione dei servizi a cui il buono-corrispettivo dà diritto non costituisce effettuazione di detta cessione o prestazione (articolo 6-quater, comma 2, DPR 633/72).

Il problema risiede, tuttavia, nel fatto che la maggior parte delle emissioni e vendite di Utility Token avviene tramite le cosiddette IEO, ICO e IDO[10] ovvero tramite offerte pubbliche condotte per mezzo di piattaforme specializzate. In questi casi, solo le piattaforme “virtuose” ovvero quelle che applicano severamente le norme antiriciclaggio conoscono l’identità degli acquirenti mentre l’emittente, al massimo, conosce il codice alfanumerico che identifica univocamente il wallet della controparte[11].

Ne deriva che all’atto della cessione dei token, l’emittente non ha a disposizione tutte le informazioni per determinare il trattamento ai fini dell’Iva se non altro perché, non conoscendo il domicilio dell’acquirente, non è in grado di verificare il requisito della territorialità. La conseguenza, in tali casi, è che il token deve essere considerato alla stregua del buono multiuso pertanto fuori dal campo di applicazione dell’Iva.

Il caso trattato con l’interpello n. 110/2020 citato permetteva, al contrario, l’individuazione di tutte le informazioni necessarie per definire il trattamento ai fini Iva fin dall’origine in quanto emittente e acquirente erano entrambi italiani e soggetti passivi d’imposta. In tal caso i token potevano essere assimilati ai buoni monouso con l’applicazione dell’Iva ordinaria al momento della cessione ammesso (ma non concesso) che l’attrazione della cessione dei token fra i servizi generici operata dall’Agenzia delle Entrate fosse condivisibile.

In conclusione, aderendo alla tesi degli Utility Token quali voucher di acquisto, per stabilire se la loro cessione è soggetta o meno a Iva, occorrerà avere riguardo alla tipologia della vendita e alle caratteristiche delle parti coinvolte.

Tesi del contratto di opzione

La natura stessa degli Utility Token fa sì che ogni possessore possa decidere se utilizzarli per accedere ai beni e/o ai servizi dell’emittente oppure se scambiarli con altri token o monete fiat oppure addirittura mantenerli nel proprio wallet a scopo di riserva di valore.

Quanto precede è del tutto conforme al dettato dell’art. 1331, primo comma, del codice civile che dispone che “quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall’art. 1329”.

Si tratta del contratto di opzione con cui “una parte (l’emittente, n.d.a.) emette irretrattabilmente la proposta di concludere un ulteriore contratto, sì che la controparte potrà perfezionare, con la propria e unilaterale accettazione questo contratto ulteriore”[12].

Detto ulteriore contratto si perfeziona solo nel momento in cui l’opzionario manifesta la volontà di esercitare il diritto di opzione e conclude il negozio che ne forma oggetto. Come affermato anche dalla Suprema Corte, infatti: “l’opzione dà luogo ad una proposta irrevocabile, cui corrisponde una facoltà di accettazione, e non ad un contratto perfetto condizionato; in conseguenza, il negozio che sorge da un rapporto originariamente in fieri si perfeziona nello stesso momento in cui la parte manifesta la sua volontà di esercitare il suo diritto di opzione, e non può spiegare i suoi effetti se non da tale momento” (Cass. civ., sent. 26 ottobre 2006, n. 23022).

Peraltro, nonostante l’opzione sia un contratto, necessitando, dunque, in quanto tale, di un accordo tra le parti per poter venire in essere, è noto che un tale accordo si può formare anche senza l’accettazione dell’opzionario[13], qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 1333 c.c. ovverosia qualora la proposta di una delle parti sia “diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente”[14].

La natura del contratto tra l’emittente e l’acquirente di Utility Token con cui il primo si obbliga unilateralmente a riconoscere al secondo il diritto di concludere o meno un successivo contratto di vendita per l’acquisto di un determinato bene o un determinato servizio ci sembra pertanto del tutto conforme alla disposizione del codice civile potendosi quindi inquadrare la vendita degli Utility Token nell’ambito del contratto di opzione.

Accettando tale tesi, in presenza dei presupposti territoriale e soggettivo, essa sarebbe pertanto soggetta a Iva con aliquota ordinaria ai sensi dell’art. 3, c.1 del DPR 633/2 trattandosi di prestazione di servizio  verso corrispettivo dipendente “da obbligazioni di fare … e di permettere quale ne sia la fonte.”

Resta in ogni caso applicabile quanto espresso in precedenza circa l’impossibilità di conoscere l’identità della controparte nella maggior parte dei casi con tutte le conseguenze sulla possibilità di verificare la sussistenza del presupposto della territorialità e della soggettività in capo all’acquirente.

Tesi dell’Utility Token quale software applicativo

Rimane poi il fatto che i token e i relativi smart contract non sono altro che codice e, come tali, vanno inquadrati nella categoria dei software applicativi ovvero di quei programmi destinati a svolgere specifiche funzioni, per rispondere a specifiche esigenza dell’utilizzatore che, in questo caso, è accedere alle blockchain, alle applicazioni e/o ai beni e ai servizi dell’emittente.

In questo caso il software avrà vita autonoma, inquadrato fra i software acquistati a titolo di proprietà (non in licenza d’uso) e, pertanto, il token sarà considerato un bene immateriale.

In altre parole, un token sarebbe un’opera dell’ingegno di carattere immateriale e, in quanto tale, tutelata dagli articoli 2 e 64-bis della L. 633/41 sul diritto d’autore nonché Codice della Proprietà Industriale (D.lgs. 30/2005) e dal codice civile agli articoli da 2575 a 2583.

Naturalmente si tratta di comprendere cosa si debba intendere per diritto d’autore nell’ambito della disciplina tributaria. È pur vero che il diritto d’autore è da ricondurre al concetto di creatività, ma, come spiegato in una decisione della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia (n. 1983/19/2019), la tutela del diritto d’autore e il relativo trattamento tributario ricorrono necessariamente non solo nel caso di creazione di qualcosa di nuovo in assoluto ma anche nel caso della rappresentazione originale e personalizzata di ciò che è già sul mercato e a disposizione come nel caso di utilizzazione di codici e di routine già sul mercato per la creazione di nuovi token e smart contract.

Sulla base di questa interpretazione, ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto, la cessione del token sarebbe sempre esclusa dal campo di applicazione dell’IVA ai sensi dell’art. 3 del DPR 633/72 il quale dispone che “non sono considerate prestazioni di servizi … le cessioni relative a diritti d’autore”. Pertanto, la cessione di un token costituirebbe operazione fuori campo iva per mancanza del presupposto oggettivo di applicazione del tributo e ciò anche nel caso in cui il cedente fosse un soggetto passivo iva.

Effettivamente, tale interpretazione comporterebbe, ai fini Iva (ma anche ai fini delle Imposte dirette) la complicazione per cui la cessione di diritti d’autore da parte di soggetto diverso dal creatore dell’opera e, quindi, nella fattispecie dall’investitore, rientrerebbe nel campo di applicazione dell’Iva a patto che sussistano sia il presupposto della territorialità sia il presupposto soggettivo di applicazione del tributo di cui all’art. 5 del citato DPR 633/72 ovvero se rientrasse “nell’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva” di attività di lavoro autonomo.

In questo ultimo caso, per quanto riguarda il presupposto della territorialità, la cessione nei confronti di soggetti privati domiciliati e residenti al di fuori dell’Unione Europea è esclusa dalla tassazione in Italia ai sensi dell’art. 7-septies, c. 1, l. a del DPR 633/72 mentre è soggetta a Iva la cessione a privati domiciliati nei paesi UE. Diversamente, se la cessione avviene nei confronti di un soggetto Iva domiciliato in un paese dell’Unione, essa non è imponibile in Italia ai sensi dell’art. 7-ter, c.1, l. a) del DPR 633/72.

Resta in ogni caso applicabile quanto espresso in precedenza circa l’impossibilità di conoscere l’identità della controparte nella maggior parte dei casi con tutte le conseguenze sulla possibilità di verificare la sussistenza del presupposto della territorialità e della soggettività in capo all’acquirente.

Tesi dell’Utility Token quale strumento di Crowdfunding

Come si illustrerà più specificatamente nel capitolo successivo, l’emissione e la vendita di Utility Token avviene soprattutto in capo a startup al fine di finanziare il proprio sviluppo imprenditoriale.

L’operazione potrebbe pertanto essere assimilata al “Reward-based Crowdfunding” in cui i finanziatori sono ricompensati con beni e servizi anche di diversa entità in base alla somma corrisposta[15].

In breve, se così fosse, qualora l’emittente fosse un soggetto passivo d’imposta quale, appunto, una startup o una PMI, allora l’emissione e la vendita dei token andrebbe inquadrata nell’ambito della “vendita di cosa futura” come stabilito dal Comitato Iva della Commissione Europea[16] e disciplinata in Italia dall’art. 2 del DPR 633/72.

In base a tali disposizioni, la vendita di Utility Token da parte di un soggetto passivo rientrerebbe nel campo di applicazione dell’Iva da applicarsi al momento della consegna o spedizione nel caso di cessione di beni e di incasso del corrispettivo (e quindi in sede di raccolta fondi) nel caso di prestazione di servizi.

A costo di apparire ripetitivi, anche in questo caso si pone comunque il problema della conoscenza della controparte con tutte le conseguenze già esposte in precedenza.

Tale tesi tuttavia si scontra con la circostanza che il “Reward-based Crowdfunding” è una forma di finanziamento che ha uno specifico inquadramento in sede europea e nazionale sia per quanto riguarda gli aspetti di sorveglianza sul mercato finanziario sia per quelli fiscali mentre, al contrario, le operazioni rientranti nella cosiddetta “finanza cripto” non hanno ancora trovato una precisa regolamentazione come dimostrato anche dalle possibili e diverse tesi presentate in questo lavoro.

Quanto precede è confermato dalla stessa Consob nel “Documento per la discussione” del 19 marzo 2019 sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività laddove ammette che le piattaforme per le offerte di cripto-attività possono essere gestite da soggetti diversi dai gestori di portali di crowdfunding purché in possesso degli stessi requisiti di questi ultimi[17].

Tesi dell’Utility Token come strumento di raccolta di capitali

È ormai pacifico che la qualificazione fiscale di un’operazione, anche ai fini Iva, non dipende esclusivamente da quanto convenuto nel contratto, ma deve essere inquadrata alla luce della reale volontà delle parti, così come desumibile anche dalla documentazione fiscale, contabile e amministrativa posta in essere.

In tal senso si è espressa la Corte di Cassazione[18] e la Corte Costituzionale che ha ribadito che “la preclusione della valutazione degli elementi extratestuali e degli atti collegati sarebbe in contrasto con il principio di prevalenza della sostanza economica sulla forma giuridica, principio che afferma essere implicato da detti parametri nonché «imprescindibile e […] storicamente radicato» nell’ordinamento tributario in genere[19].

A ben vedere, la volontà delle parti nell’ambito dell’emissione e vendita di Utility Token altro non è che il finanziamento di progetti imprenditoriali per quanto riguarda l’emittente e la prospettiva di usufruire dei potenziali servizi dello startup da parte dei sottoscrittori insieme, sempre in capo a questi ultimi, alla prospettiva di una rivalutazione del valore del token.

Questa tesi è dimostrata dal fatto che l’Unione Europea si occupa di Utility Token nell’ambito dell’articolato pacchetto di norme a supporto del processo di digitalizzazione della finanza “Digital Finance Strategy”.

Evidentemente, la Commissione Europea ha deciso di regolamentare gli Utility Token in tale ambito e non in quello della tutela del consumatore regolata da altre direttive[20] poiché è consapevole che la funzione principale anche di questi token è la raccolta di capitali per il finanziamento di iniziative imprenditoriali con tutto ciò che ne consegue in tema di vigilanza e tutela del mercato.

Quanto sopra lo si desume proprio dal tenore della proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo ai mercati delle cripto-attività del 24 settembre 2020 che si pone come obiettivo, fra gli altri, di “garantire la stabilità finanziaria”.

Nella proposta, infatti, non si differenziano gli Utility Token dalle altre tipologie di cripto-attività per cui anch’essi sono definiti “applicazioni della tecnologia blockchain nel settore finanziario” e si afferma che essi “presentano in gran parte gli stessi rischi degli strumenti finanziari più comuni”.

Con il lessico del mercato finanziario, la proposta definisce anche la vendita di Utility Token quale “offerta” e gli acquirenti quali “investitori”; indica che le cripto-attività permettono “semplificazione dei processi di raccolta di capitali” e che le relative emissioni “possono rappresentare un approccio più economico, meno oneroso e più inclusivo al finanziamento delle piccole e medie imprese”; raccomanda che “l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA), in stretta cooperazione con l’Autorità bancaria europea (ABE) venga incaricata di pubblicare orientamenti sui … sistemi e protocolli di sicurezza”.

Infine, va sottolineato l’obbligo di redazione del White Paper da parte dell’emittente ovvero di un documento che di fatto contiene tutte le informazioni di un prospetto informativo relativo all’offerta di strumenti finanziari.

Quanto sopra, in parte, vale anche per l’Italia dato che anche a livello nazionale si è stabilito di investire della questione la Consob[21] ovvero l’Autorità per la vigilanza dei mercati finanziari piuttosto che regolamentare il settore tramite il Codice del consumo[22].

La finalità dell’emissione di Utility Token è quindi senza dubbio la raccolta di capitali per il finanziamento di iniziative imprenditoriali che, nella maggior parte dei casi, rimangono solo sulla carta e non offrono certezze sulla loro effettiva realizzazione con buona pace dei sostenitori della “vendita di cosa futura”.

Se, pertanto, si volesse davvero applicare il principio per cui “la qualificazione fiscale di un’operazione deve essere inquadrata alla luce della reale volontà delle parti”, allora risulterebbe pacifico che l’offerta di Utility Token rientra nell’alveo delle operazioni di natura finanziaria ancorché realizzata mediante la vendita di beni o servizi ancora da realizzare e conseguentemente esclusa dal campo di applicazione dell’Iva ai sensi dell’art. 2, c.2, l. a del DPR 633/72.

Conclusioni

La mancanza di un inquadramento preciso degli Utility Token e dell’offerta dei medesimi in ambito nazionale crea eccessive perplessità sia sul piano del regolamento del mercato sia su quello fiscale con la conseguenza di ridurre, se non azzerare, l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali nel nostro paese in un momento in cui, al contrario, occorre mettere in campo quanti più strumenti possibili per ridare lustro alla nostra economia.

Stabilire che iniziative come l’emissione di Utility Token per finanziare nuovi progetti debbano scontare l’Iva significa ridurre le potenzialità della raccolta di capitali oltre al paradosso di tassare anche quelle iniziative che, purtroppo, non giungono a completamento.

Resta il fatto che, a meno di voler smentire la Suprema Corte e la Corte Costituzionale, tali operazioni debbono essere tassate in base reale volontà delle parti che, come detto, è la raccolta di capitali ed è per questo che esse devono essere senz’altro escluse dal campo di applicazione dell’Imposta sul Valore Aggiunto.


[1]             Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo ai mercati delle cripto-attività e che modifica la direttiva (UE) 2019/1937 del 24 settembre 2020,

[2]             Consob, “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività”, Rapporto finale, 2 gennaio 2020.

[3]             Finma, “Guida pratica per il trattamento delle richieste inerenti all’assoggettamento in riferimento alle initial coin offering (ICO)”, Edizione del 16 febbraio 2018.

[4]             “a blockchain-based coin or token that has no rights associated with it other than the right to use the coin or token to purchase goods or services from the token issuer; does not carry any claim on the assets of the token issuer (whether on liquidation of the token issuer or otherwise); and does not entitle the token holder to any voting or similar rights or any rights to receive income, dividends or other distributions.”  “Framework for ‘Investment Contract’ Analysis of Digital Assets,” issued by the staff of the SEC’s Strategic Hub for Innovation and Financial Technology on April 3, 2019 (the “Framework”); TurnKey Jet, Inc. (April 3, 2019); Pocketful of Quarters, Inc. (July 25, 2019).

[5]             “Tokens representing a claim on prospective services or products” and “tokens that do not amount to transferable securities or other regulated products and only allow access to a network or product”. Paragraph 6 of the FCA’s written submission to the House of Commons Treasury Committee digital currencies inquiry.

[6]             Repubblica di San Marino. Decreto delegato del 23.5.2019 n. 86, art. 8.

[7]             Risposta ad Interpello n. 110, pubblicata il 20 aprile 2020.

[8]             Art. 7, c. 1, l. d, DPR 633/72: ‘per “soggetto passivo stabilito nel territorio dello Stato” si intende un soggetto passivo domiciliato nel territorio dello Stato  o ivi residente che non abbia stabilito il domicilio all’estero, ovvero una stabile organizzazione nel territorio  dello  Stato  di  soggetto domiciliato e residente all’estero, limitatamente alle operazioni  da essa rese o ricevute. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche si considera domicilio il luogo  in  cui  si  trova  la  sede  legale  e residenza quello in cui si trova la sede effettiva’.

[9]             Art. 6-bis DPR 633/72.

[10]           ICO = Initial Coin Offering; IEO = Initial Exchange Offering; IDO = Initial DEX Offering dove DEX sta per “exchange decentralizzato”.

[11]           Un wallet è un portafoglio digitale, software o hardware, necessario per utilizzare le criptovalute. A differenza dei portafogli tradizionali, i portafogli digitali non memorizzano valute in alcuna posizione del computer o dello smartphone, ma solo dei record delle transazioni memorizzate nei vari blocchi presenti nella blockchain. Tramite un wallet, pertanto, è possibile interrogare e comunicare direttamente con la blockchain al fine di inviare e ricevere monete digitali e controllare il saldo.

[12]           P. Rescigno, Trattato di diritto privato, Obbligazioni e contratti, II, Torino, 1982, pag. 371.

[13]           V. Ruoppo, Il Contratto, Milano, 2011, pp. 155-159.

[14]           Ai sensi dell’art. 1333 c.c. “la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata. Il destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell’affare o dagli usi. In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso”.

[15]           Il Comitato Iva in seno alla Commissione Europea ha così definito il Reward-based Crowdfunding: “contributors are rewarded with a non-financial compensation – goods or services – in exchange for their participation in the funding campaign. Rewards can take multiple forms, e.g., the copy of a product that the campaign aims at developing, or even incentives of a more intangible nature, such as the opportunity to participate in a film as an extra. The expected reward can be taken into account by the contributor when deciding to pledge, as the campaign owner will offer different rewards depending on the amount of money to be perceived – typically, the value of the reward increases as it does the amount of the contribution. In some cases, the rewards may be of symbolic value, compared to the contribution that is given in exchange”, European Commission-Value Add Tax Committee, “VAT Treatment of Crowdfunding, Working Paper No. 836”, 2015.

[16]           Value Add Tax Commitee Working Paper No 836, Question Concerning The Application of Eu Vat Provisions; Agenzia delle Entrate, risposta ad Interpello n. 110, pubblicata il 20 aprile 2020.

[17]           “Potrebbe altresì prevedersi che soggetti diversi, purché in possesso di requisiti soggettivi richiesti all’anzidetta categoria di gestori di portali di crowdfunding, possano gestire piattaforme per le offerte di cripto-attività. Ciò al fine di non precludere lo sviluppo di modelli di business alternativi, in cui cioè il soggetto gestore intenda specializzarsi, pur nel rispetto di requisiti soggettivi analoghi a quanto ritenuto congruo per i gestori di portali di crowdfunding, soltanto al settore delle initial coin offerings.” Consob, Documento per la discussione” del 19 marzo 2019 sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività.

[18]           Cass., ordinanza n. 28709/2017

[19]           Corte Costituzionale, Sentenza 158/2020.

[20]           direttiva 2002/65/CE sulla commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori, direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori, direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole, direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, direttiva (UE) 2019/2161 sulla protezione dei consumatori.

[21] Consob, Documento per la discussione sulle offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività, 19 marzo 2019 ; Consob, Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività rapporto finale, 2 gennaio 2020.

[22] Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.

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